Stress lavorativo e benessere organizzativo

Un articolo preso da

LearningNews Settembre 2012, anno VI – N.9

Nuove frontiere per sviluppare il “benessere dei dipendenti”: best practices per gestire i livelli di stress lavoro correlato

La possibilità: sviluppare la formazione “obbligatoria” in una formazione generativa, d’aiuto ed evolutiva.

di Karin Girolimini* (Psicologa del lavoro e delle organizzazioni; Consulente per imprese edili ed aziende in area Sicurezza e Risorse Umane; Consigliere Regionale AIF Marche.)

“La coscienza collettiva è l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società. Questo insieme ha una vita propria che non esiste se non attraverso i sentimenti e le credenze presenti nelle coscienze individuali. Emile Durkheim”

La situazione europea

Lo stress lavoro correlato tenderà ad aumentare nei prossimi anni, per ben l’80% dei partecipanti del sondaggio Europeo eseguito da Ipsos Mori dall’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA). Tale dato è stato presentato a Bilbao il 22-23 novembre 2011, dove si è tenuto il summit di EU-OSHA “Ambienti di lavoro sani e sicuri”.

Durante il “Sondaggio d’opinione paneuropeo sulla sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, 2012″ sono state svolte 35.540 interviste telefoniche, e il campione di riferimento era composto da adulti maggiorenni, residenti nei 36 paesi Europei; in sintesi è emerso che: il 75% degli intervistati ritiene che aumenterà e il 39% di questi teme un aumento rilevante del livello di stress sul luogo di lavoro. In questi dati non si scorgono differenze indicative tra soggetti occupati, inoccupati e disoccupati.

Le percentuali citate coincidono anche con il sondaggio ESENER, realizzato sempre da EU OSHA, dove il 79% dei manager ha dichiarato che lo stress rappresenta un serio problema nella società che dirigono.

Sintetizzando lo scenario Europeo e della Nazione, che emerge dal sondaggio, si possono individuare due fattori principali:

1. La convinzione che vi sarà una crescita esponenziale nei prossimi anni dello stress lavoro correlato nelle organizzazioni, concetto questo condiviso da tutta la popolazione, produttiva e non, passando dai manager ai lavoratori, sino ad arrivare agli inoccupati e disoccupati.

2. Per arginare questo problema, che porta alle organizzazioni un calo in termini di produttività, il quale si correla con un deficit nello sviluppo della stessa, gli intervistati credono fermamente che la soluzione sia l’adozione di best practices all’interno del contesto lavorativo, in riferimento alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

La situazione nazionale

Per comprendere meglio la situazione Nazionale in tema di lavoro stress correlato, esaminiamo alcuni dati presentati nell’Aprile 2012, emersi da una ricerca fatta dalla Provincia di Bologna, con partner quali l’INAIL, l’azienda USL, su dipendenti di 13 aziende pubbliche (34.800 addetti) e 144 private (98 addetti), prendendo come campione la popolazione dei RLS (Rappresentati per la Sicurezza) e R.S.P.P. (Responsabili del Servizio Prevenzione e Protezione).

Dalla ricerca il dato che emerge è come il trascorrere degli anni, “l’invecchiamento”, è uno dei fattori che maggiormente genera stress lavoro correlato, in imprese pubbliche e private. Si evince come molte aziende sono ancora nelle fasi iniziali della valutazione dello stress lavoro correlato, e pochissime di loro hanno iniziato a progettare misure di mitigazione dei livelli osservati, derivanti dalla valutazione.

Possiamo considerare questa ricerca, svolta in una Provincia d’Italia, come lo specchio, che riflette buona parte delle organizzazioni dislocate sul territorio, dove l’assunto è: lo stress lavoro correlato è un problema marginale, non direttamente proporzionale alla produttività dell’organizzazione. Tale concezione è ciò che sottende le decisioni che sono prese con riferimento alla valutazione del rischio dello stress lavoro correlato.

Gli indicatori di potenziale presenza di stress

A mio avviso l’erronea convinzione è legata ancora a “false credenze” di quali siano gli indicatori che si devono prendere in considerazione (e cosa devono valutare) per valutare lo stress lavoro correlato, quando, già dal 2010, la Circolare Ministeriale del 17 novembre, esprimeva chiaramente le indicazioni metodologiche della Commissione Consultiva Permanente per la Salute e la Sicurezza (art. 6, comma 8, lettera m-quater, e art.28, comma 1 bis, D.LgS. 81/2008 e s.m.i.), in merito alla valutazione dello stress lavoro correlato.

I tre indicatori di potenziale presenza di stress (Eventi sentinella/Contenuto del lavoro/Contesto del lavoro) espressi nella Circolare Ministeriale, sono descrittivi di quale tipo di stress la valutazione esamina; è quindi logico affermare che, solo comprendendo l’analisi iniziale di ciò che andiamo a valutare, possiamo porci obiettivi chiari e quindi giuste soluzioni per risolvere eventuali situazioni di rischio di stress lavoro correlato.

Stress lavoro correlato e competitività aziendale

Pur attuando la valutazione di stress lavoro correlato, gli interventi non sono incisivi, e a volte non esistono, proprio perché lo stress lavoro correlato non viene ritenuto un problema pregnante per l’azienda.

Il mio parere è che questa sia solo la punta dell’iceberg: ritenere poco significativo un eventuale problema di stress lavoro correlato sottintende una considerazione fallace delle Risorse Umane presenti in azienda. Mentre, ad oggi, il benessere del dipendente diviene sempre più oggetto d’interesse da parte degli studiosi del management.

Tale concezione, che restituisce un valore primario all’investimento nel benessere del dipendente, si concretizza a livello Normativo Italiano nell’Art.28 del D.LgS. 81/2008 e s.m.i. e s.m.i., il quale riconosce un postulato essenziale: le organizzazioni sono pervase dal possibile rischio psicosociale, quale lo stress lavoro correlato; il benessere organizzativo produce un miglioramento non trascurabile per le organizzazioni in termini di competitività.

Ciò significa che, non conta solo cosa s’immette sul mercato, ma anche, come le persone lo producono e come vivono all’interno delle organizzazioni, la Normativa deduce correttamente che, un clima organizzativo alterato, porta meno produttività e può far rischiare la salute psicofisica del dipendente, nonché la sopravvivenza sul mercato dell’azienda stessa.

Formazione specifica per salute, sicurezza e igiene del lavoro

Il D.LgS. 81/2008 e s.m.i., all’Art.37 prescrive l’adozione di una formazione specifica  in termini di salute, sicurezza e igiene del lavoro per ogni dipendente dell’organizzazione, differenziando nei contenuti tale formazione in base al ruolo ricoperto dal soggetto, attuando così un piano formativo ben definito all’interno dell’azienda.

Tale prescrizione è resa concreta, nella sua attuazione, dall’Accordo Stato-Regioni del 21/12/’11, dove finalmente si hanno i risvolti oggettivi di una formazione adeguata.

Ecco la best practice (la formazione) in termini di sviluppo “da gruppo” a “gruppo di lavoro”, che si connette con un abbassamento dello stress lavoro correlato, e quindi con un positivo invecchiamento attivo, determinato anche da un calo degli infortuni sul lavoro.

Per utilizzare al meglio la best practice sopra citata, è necessario a mio avviso far molta attenzione alla meta-comunicazione intrinseca nel dichiararla: “formazione obbligatoria” sulla sicurezza nei luoghi del lavoro. Gli addetti ai lavori capiranno che, già chiamandola “obbligatoria” si va a creare un’ulteriore resistenza nei partecipanti all’aula, che si somma con le resistenze proprie che la formazione per gli adulti porta con sé.

Se, invece, leggiamo la formazione che la Norma legifera in termini di formazione per adulti, orientata ad un cambiamento, con lo scopo di abbassare le resistenze del soggetto per modificare il suo campo cognitivo/affettivo/comportamentale, possiamo giungere ai risultati di: abbassare lo stress lavoro correlato, e modificare i pronostici per il futuro emersi dai sondaggi; elargire, in azienda, una formazione non più obbligatoria, ma direi piuttosto generativa, d’aiuto ed evolutiva.

Formazione generativa: generativa perché, sia le motivazioni al cambiamento, sia le resistenze ad esso, sono legate al vissuto psicologico del soggetto, per questo diviene fondamentale attuare una formazione che non deve essere solo considerata come un’aggiunta del sapere nuovo a quello già esistente, ma che invece diviene obbligatoriamente modifica del sapere precedente, assioma implicito della formazione negli adulti. Ne consegue che ogni intervento formativo comporta una modifica del proprio ruolo e dell’immagine di sé relativamente ad esso, generando quindi un soggetto con altre skills e capace di operare in setting diversi, trasformati anche da lui stesso.

Formazione d’aiuto: perché deve essere vista come un aiuto, che l’individuo/gruppo al lavoro riceve; aiuto perché la formazione può riuscire ad arginare problemi di tipo organizzativo, in un periodo d’innovazione non solo tecnologica ma con nuovi modelli organizzativi, come quello che si sta vivendo ora. Aiutando i membri dell’organizzazione che cambia a cambiare con lei, senza che la produttività ne risenta, né tanto meno il benessere psicofisico della persona. Ogni apprendimento comporta modifiche, nei modelli di rapporto interpersonale e degli aspetti emotivi ad esso correlati.

Tali aspetti, presi in considerazione in fase di progettazione quanto di erogazione, rappresenteranno un aiuto per l’individuo, per superare ciò che creava resistenza al cambiamento, favorendo invece ora un buon sviluppo dell’individuo stesso, che, inevitabilmente, andrà a generare un clima organizzativo ottimale, preambolo necessario del benessere organizzativo.

Infine, formazione evolutiva: perché, anche in considerazione del tema dell’Anno Europeo 2012, cioè l’invecchiamento attivo, si può affermare che, solo formando al cambiamento i soggetti inseriti nel mondo del lavoro, si può prospettare una maggior durata, quindi un’ evoluzione, della loro vita lavorativa.

In letteratura è noto come, persone maggiormente competenti e preparate alle sfide che l’attività lavorativa può portare durante il suo svolgersi, abbiano una migliore autostima e quindi un senso di autoefficacia maggiore, capi saldi che combattono alti livelli di stress lavoro correlato, il quale sviluppa nel soggetto sensazioni esattamente opposte.

Un invecchiamento attivo sancisce come l’individuo, tramite la programmazione di azioni formative adeguate, diventa protagonista del cambiamento delle sue conoscenze e competenze, e questo aumenta in lui il senso di autoefficacia verso l’ambiente esterno, consentendogli di migliorare la sua autostima.

Conclusioni

A mio parere, o si seguono pedissequamente le disposizioni, in termini di contenuto del D.LgS 81/2008 e s.m.i., istituendo una formazione “obbligatoria sulla sicurezza”, oppure si elargisce una formazione generativa, d’aiuto ed evolutiva, dove si affronta con i partecipanti un cambiamento, anche in termini di percezione del rischio e sviluppo della mentalità della sicurezza, derivante da una maggior autoconsapevolezza ed autoefficacia del soggetto, sempre “attraversando” i contenuti Normativi sanciti dal Decreto.

In base alla mia esperienza posso affermare che, analizzando le problematiche collegate all’ambito sicurezza di un organizzazione si può scorgere la natura più ampia che costituisce l’organizzazione stessa.

Da tale concezione emerge dunque che i partecipanti dei corsi di formazione, gestiti da formatori esperti, specializzati in tema di salute e sicurezza, diverranno soggetti attivi di una formazione orientata al cambiamento. Di contro, il formatore riceverà dall’aula informazioni che andranno a comporre il “layout organizzativo”, “illuminando” i leader di fatto, eletti dal gruppo, i rapporti più o meno saldi tra gli operatori, tra dirigenti e/o tra operatori e dirigenti, la leadership che il Datore di Lavoro attua verso i suoi collaboratori, e molti altri fattori organizzativi.

Ritengo che vi siano due concetti fondamentali da tener presenti:

Primo è l’assioma che la formazione in ambito salute e sicurezza dei luoghi di lavoro sia attuata da formatori con competenze specifiche e riconosciute; concordo, infatti, pienamente con le richieste di elaborazione dei criteri di qualificazione del formatore per la salute e la sicurezza sul lavoro, da parte della Commissione Consultiva.

Secondo è ritenere la formazione sancita dalla Normativa Italiana in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro la base fondamentale per iniziare un cambiamento, che si esplicita in primis con un abbassamento degli infortuni sul lavoro, minor livelli di stress lavoro correlato e infine con eventuali sviluppi di sistemi di gestione integrati che sottendono a modelli organizzativi differenti dal passato.

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