Simulazione e apprendimento: un problema estetico

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Simulazione e apprendimento: un problema estetico

di Riccardo Santilli

Questo articolo tratta argomenti inerenti la comprensione, l’apprendimento, la simulazione, l’immagine e l’estetica. L’accostamento è atipico ma se, come credo, esistono delle “somiglianze di famiglia” tra i temi citati, può rivelarsi estremamente utile allo scopo di questo intervento. Obiettivo dell’articolo è definire lo statuto della simulazione in ambito formativo, vale a dire rispondere alla domanda: Qual è il principio o condizione di possibilità della simulazione finalizzata all’apprendimento? In prima istanza esaminerò la simulazione come forma di rappresentazione della realtà. Quindi verrà posto il problema della comprensione e del senso della simulazione. Infine, se la mia argomentazione è valida, individuerò in un principio estetico piuttosto che logico o psicologico la condizione di possibilità della simulazione in ambito formativo.

La simulazione nella formazione

Le simulazioni sono programmi per computer che consentono di rappresentare un sistema reale partendo da un modello matematico. Mediante l’interazione è possibile verificare gli effetti e i cambiamenti provocati delle nostre azioni nei differenti contesti di riferimento. Contributi alla teoria della simulazione vengono dalla Dinamica dei Sistemi (Senge) per le simulazioni di processo, dove è possibile modellare la struttura e il funzionamento di sistemi complessi di tipo economico e sociale caratterizzati da ritardi nel feedback e non linearità, e dalla psicologia cognitivista (Shank) per le simulazioni scenarios based dove uno scenario di azione o comportamento è strutturato in uno script con percorsi che variano in funzione delle decisioni prese dall’utente.

 Limiti della simulazione: la mappa non è il territorio

Si deve a Korzbinski una fase ormai celebre: «la mappa non è il territorio». La simulazione, sia essa di processo o comportamentale, è una mappa più o meno complessa della realtà. Una mappa il cui compito è non solo informare ma anche e soprattutto formare. Distinguere la simulazione (in quanto mappa) dalla realtà che rappresenta potrebbe sembrare quasi superfluo. In un articolo di qualche anno fa apparso su Telèma, Sherry Turkle ha indagato alcuni effetti “collaterali” che l’uso delle simulazioni può comportare quando applicato al processo formativo.

«A un certo livello, uno studente del secondo anno delle superiori, giocando a SimCity per due ore, può imparare sulla pianificazione urbanistica più di quanto imparerebbe da un libro di testo; ma, a un altro livello, lo stesso studente può non saper pensare a ciò che sta facendo. Pongo a Marcia, un’allieva di quinta ginnasio, alcune domande su SimCity; lei, che si sente molto abile, mi elenca quelle che a suo parere sono “le dieci regole più utili della simulazione”. La mia attenzione è attratta dalla regola numero sei: “Aumentare le tasse provoca sempre insurrezioni”. A quanto pare, Marcia non possiede un linguaggio per distinguere la differenza fra questa regola del gioco e le regole vigenti in una città “reale”. Non ha mai programmato un computer. Non ha mai progettato una simulazione. Non possiede un linguaggio per chiedere come si fa a riscrivere il gioco in modo da ottenere che un aumento delle tasse possa anche determinare un aumento della produttività e l’armonia della società. Di certo non si considera una persona in grado di cambiare le regole. Marcia non sa come si fa a “leggere” una simulazione. E’ come qualcuno che sa pronunciare le parole scritte in un libro, ma non capisce che cosa significano. Non sa misurare, criticare né giudicare quello che sta imparando.»

E ancora:

«La seduzione della simulazione apre la porta a diverse possibili risposte. Si possono accettare le simulazioni per quello che sono, acriticamente. […] Un atteggiamento simile può essere definito “rassegnazione alla simulazione”. Oppure, si può scegliere una posizione drastica, del tutto antitetica: rifiutare la simulazione a qualsiasi livello. È l’atteggiamento assunto dai fisici del Mit, che la considerano una forza profondamente distruttiva nell’educazione scientifica. Questa posizione può essere definita “negazione della simulazione”.

Ma è concepibile anche un terzo tipo di risposta: prendere la pervasività culturale della simulazione come una sfida, uno stimolo a sviluppare una nuova capacità critica, ma tale capacità potrebbe metterci in grado di distinguere fra le varie forme di simulazione e darci la possibilità di mettere a punto quelle che aiutano l’utente a capire le premesse insite nel loro modello e a porle in discussione.»

La simulazione è quindi esposta al rischio di un’illusione referenziale, per quanto complessa ed aderente, essa non è la realtà e deve, in qualche modo, comunicarlo dal suo stesso interno. La domanda è dunque: è possibile che la simulazione consenta un livello di apprendimento superiore ai livelli di applicazione, analisi e sintesi della tassonomia di Bloom, in direzione del livello di apprendimento definito “valutazione”? Dal punto di vista dell’apprendimento, questo passaggio richiede un’operazione complessa che pone in essere un differente livello di apprendimento. Per usare una metafora, non si sta solo giocando, si stanno ridefinendo le regole del gioco. All’apprendimento di primo livello subentra un apprendimento di secondo livello con finalità di ordine superiore: valutare l’efficacia e stabilire nuove regole, non solo agire in base a regole. Come direbbe Wittgenstein «E non si dà anche il caso in cui giochiamo e — ‘make up the rules as we go along’?. E anche il caso in cui le modifichiamo — as we go along.» Tuttavia sul versante dei sostenitori della simulazione potrebbe pur sempre levarsi una critica: «tutto questo avrà valore fin quando non saranno sviluppate simulazioni così evolute da riprodurre un processo della realtà in ogni minimo aspetto, a quel punto parlare di un cambiamento di regole, equivarrebbe a trasformare la simulazione in puro gioco». Lo statuto e la condizione di possibilità della simulazione sono quindi da attribuire ad un principio logico-empirico che richiede la massima aderenza del modello alla realtà?

I vantaggi della simulazione: la mappa non è il territorio

Sinceramente non credo che una simulazione più reale del reale sia realizzabile, almeno a breve, comunque assumiamola come possibile e chiediamoci: «Qual è il vantaggio di una simulazione?» Riprodurre un sistema o uno scenario, consentendo alla persona di interagire in esso, di mutare variabili valutando risultati e conseguenze. Ora, si potrebbe obiettare, la simulazione non riproduce il sistema, riproduce piuttosto un modello semplificato del sistema. Già ma proprio questo la rende così utile. Se il sistema fosse rappresentato con una complessità pari a quella reale, la simulazione sarebbe affatto superflua. Se avessimo una cartina dell’Italia grande e dettagliata quanto l’Italia avrebbe senso dire, «ora consultiamo la cartina» per sapere dove siamo? Tuttavia non è del tutto corretto dire che la simulazione è efficace perché semplifica la realtà. La simulazione fa qualcosa di differente dal semplificare. Consente di vedere i contorni. In uno dei suoi “metaloghi” dal titolo «Perché le cose hanno i contorni?», Bateson riprende alcune riflessioni di William Blake:

«C’era una volta un’artista molto arrabbiato che scribacchiava cose di ogni genere, e dopo la sua morte guardarono nei suoi quaderni e videro che in un posto aveva scritto: “I savi vedono i contorni e perciò li disegnano”, ma in un altro posto aveva scritto: “I pazzi vedono i contorni e perciò li disegnano”»

I savi e i pazzi vedono i contorni, vedono cioè i contesti all’interno dei quale i processi, umani e non, acquistano significato, vedono inoltre i contorni dei contesti, vale a dire la segmentazione degli eventi. Ma la comprensione del contesto non è sempre immediata o intuitiva. Leggete il seguente script:

  •  Aspettate un giornata di pieno sole. (Molti preferiscono dedicarsi a questa attività a partire dalla primavera)
  • Controllate l’olio. È importante per evitare guasti.
  • Non superate i limiti consigliati. Potreste provocare un’alterazione cromatica
  • Fate molta attenzione a non lasciare “zone scoperte”.
  • Fate in modo che non manchi l’acqua.

Queste cinque linee guida vi sembreranno forse del tutto prive di senso, come osservava lo stesso Bateson è difficile riconoscere i contorni di un processo quando si è dentro di esso. Non solo, in alcuni casi, come questo, è anche difficile comprendere il processo in quanto tale. Molto probabilmente il senso di queste linee guida continuerà a restarvi oscuro finchè non le avrete collocate all’interno di un contesto specifico. Si tratta di linee guida per la falciatura del prato con tosaerba. Tuttavia, anche la definizione dei contorni di contesto (le linee guida) è per sua natura arbitrario. Perché cinque? E perché espresse in quel modo e con quella sequenza? Sulla mappa distinguiamo nettamente il mare dalla terraferma ma nel territorio questa distinzione è possibile? Nelle nostre situazioni quotidiane siamo immersi in cicli di interazioni che viviamo senza soluzione di continuità. In una strategia di negoziazione, ad esempio, vi sono numerose fasi, ma solo persone estremamente esperte sono in grado di “distinguerle” durante l’esperienza effettiva. Lo scenario di una negoziazione simulata consente invece di distinguere quelle fasi, di porre dei “contorni” che facilitano la comprensione di un flusso altrimenti indistinguibile. La simulazione potrà quindi essere semplice, povera di interazione, potrà sembrare addirittura caricaturale o ludica, ma se l’analisi ha posto i giusti contorni del contesto, se lo script elaborato risponde alle dinamiche effettive dello scenario (individuando oggetti, azioni, attori, proprietà ecc.) essa avrà valore didattico ed epistemologico. Il vantaggio della simulazione sta nella possibilità che essa ci presenta di vedere i contorni di un processo, di passare da un’unità strutturata in cui azioni, elementi e attori non sono separati, ad un’unità in cui è possibile operare delle distinzioni e vedere, come afferma Wittgenstein, non solo le proprietà dell’oggetto bensì le relazioni tra l’oggetto ed altri oggetti (il cosiddetto vedere-come).

 La simulazione tra senso e non senso: comprendere l’immagine

Attribuire alla scarto tra mappa e territorio i limiti e al tempo stesso i vantaggi della simulazione, era il modo migliore per mettere-in-questione il suo “statuto”. Un’ulteriore riflessione di Bateson può contribuire a definire la condizione di possibilità della simulazione. Sempre sul tema mappa e territorio Bateson si domanda: «Quali sono le parti del territorio che sono riportate sulla mappa? […] Ora se il territorio fosse uniforme, nulla verrebbe riportato sulla mappa se non i suoi confini, che sono i punti ove la sua uniformità cessa di contro ad una più vasta matrice. Ciò che si trasferisce sulla mappa, di fatto, è la differenza, si tratti di una differenza di quota, o di vegetazione, o di struttura demografica, o di superficie. […] Le differenze sono le cose che sono riportate sulla mappa» la quale, a sua volta, è una differenza rispetto a ciò che raffigura. Questo passo di Bateson andrebbe letto assieme alle proposizioni 2.161 e 2.18 del Tractus logico-philosophicus di Wittgenstein: «In immagine e raffigurato qualcosa deve essere identico, affinché quella possa essere un’immagine di questo», «ciò che ogni immagine […] deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare — correttamente o falsamente — è la forma logica, cioè la forma della realtà». Le due riflessioni si integrano reciprocamente. Mappa e territorio, immagine e raffigurato, sono legati tra loro da un doppio vincolo, un rapporto paradossale di identità e differenza. La simulazione per un verso si sforza di riprodurre il reale, per un altro verso si sforza di non riprodurlo. In questo “doppio legame” o, se vogliamo, in questo paradosso di identità e differenza, la simulazione “gioca” la sua partita. Se la simulazione si presentasse come ripetizione fedele della realtà si appiattirebbe a mera tautologia priva di senso. Se fosse solo differenza sarebbe invenzione e non simulazione. La mappa non è il territorio, tuttavia essa è per noi il territorio, ma se ci dimenticassimo della differenza, l’immagine/mappa diverrebbe un limite cognitivo piuttosto che un modello operativo. La mappa dal suo interno deve rinviare ad un fuori, ad un territorio, ma questo fuori a cui rinvia lo deve mostrare proprio all’interno della mappa stessa e nelle sue strutture. Questo è un passo cruciale nell’identificazione delle relazioni di tipo mappa-territorio e dei processi di apprendimento. Sempre in Bateson troviamo altre importanti indicazioni per la comprensione di questi aspetti della simulazione:

«nel processo primario la mappa e il territorio sono identificati; nel processo secondario essi possono essere distinti. Nel gioco [nella simulazione] essi possono essere sia identificati sia distiniti»

Questo paradosso di identità differenza mette in questione il problema stesso del senso e del non senso della simulazione. A mio modo di vedere non è solo un problema didattico, ma un problema limite tra epistemologia ed estetica. Sì proprio l’estetica. L’intrusione di questa disciplina potrebbe sembrare fuori luogo soprattutto per chi pensa l’estetica come riflessione sul bello e sull’arte. Personalmente ritengo l’estetica una riflessione sul senso e il non senso, nella più ampia connotazione che questi termini possono avere e da questo punto di vista il problema della simulazione è anche un problema estetico.

 Estetica della simulazione

Lo statuto e la condizione di possibilità della simulazione non possono essere attribuiti ad un principio logico-empirico di massima aderenza del modello alla realtà. Molto più utile è l’individuazione di principi di natura psicologica legati ai processi cognitivi, che offrono paradigmi illuminanti per “spiegare” il fenomeno della simulazione. Tuttavia la condizione di possibilità della simulazione e il posto che questo concetto occupa tra i concetti d’esperienza, va ricercato in un principio estetico: il paradosso di identità/differenza tra mappa e territorio, simulazione ed esperienza reale. Apprendere mediante una simulazione significa rilevare gli elementi e le dinamiche di un’organizzazione nettamente definita; ma prima che vi sia la cognizione di questa organizzazione o modello della realtà vi deve essere il presupposto di un sentire che guida la comprensione della simulazione e rende l’esperienza della simulazione una particolare esperienza del senso, inteso non come spiegazione o copia della realtà ma come comprensione di una forma e del suo paradossale rapporto con l’oggetto o modello. Poggiando su un presupposto estetico la simulazione non garantisce sempre e comunque la sua adeguata comprensione. Il senso di una simulazione, l’esperienza di apprendimento ad essa collegata, è anche un evento rischioso (questo giustifica le osservazioni della Turkle) da discutere e condividere. L’efficacia di una simulazione non sta quindi nella sua potenza mimetica quanto piuttosto nel proporre una segmentazione della realtà (un’immagine) che abbia una pretesa di eteroreferenzialità e, al tempo stesso, nel lasciar trasparire i principi e le regole che hanno ispirato questa rappresentazione e ne costituiscono la dimensione autoreferenziale. Eteroreferenzialità opaca, ovvero rinviare ad un territorio senza la pretesa di “mostrarlo tutto” e autoreferenzialità trasparente ovvero presentare se stessa, le proprie regole i propri principi, senza nascondere il territorio da cui regole e principi sono stati ricavati. In questa “trasparente opacità” o se vogliamo “opaca trasparenza” il paradosso della simulazione trova il suo statuto estetico, che solo un ossimoro può esprimere.

da http://www.lacritica.net/index.htm Roma, Marzo 2002

Bibliografia

Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1984.

Di Giacomo G., Dalla logica all’estetica, Pratiche, Parma 1992.

Garroni E., Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano 1994.

Korzbinski A., Science and Sanity, International Non — Aristotelian Library, Englewood (NJ), 1933.

Shank R., Virtual Learning: A Revolutionary Approach to Building a Highly Skilled Workforce, McGraw-Hill, 1997.

Senge P., La quinta disciplina, Sperling & Kupfer, Milano, 1992.

Turkle S., «La simulazione è seducente ma se non la capisci ti inganna», in Telèma n° 12 1998.

Wittgenstein L., Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Milano, 1964.

Wittgenstein L., Ricerche filosofiche, Einaudi, Milano 1983.

 

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