La felicità (in economia)

felicità

Nel 1974 l’economista e demografo americano Richard Easterlin scopre il paradosso della felicità. Mostra che, nelle opulente società occidentali, all’aumento del reddito non si accompagna più, come avveniva in passato, un incremento di felicità.
Maggiore il reddito, minore (o costante) la felicità. Easterlin, e dopo di lui gli economisti che si sono occupati del paradosso, non definiscono la felicità. Si limitano a misurarla attraverso questionari di autovalutazione. Agli intervistati viene chiesto:
“How happy are you?” oppure “How satisfied are you with your life?” La scoperta è che gli intervistati, nonostante l’aumento di reddito, si dichiarano meno felici. Una valutazione del tutto soggettiva.
Le principali spiegazioni del paradosso sono due. Entrambe fanno riferimento, implicitamente o esplicitamente, all’immagine della corsa. La prima è dello stesso Easterlin (1974, 2004). Insieme al reddito crescono le aspirazioni. Gli individui corrono su tappeti rullanti (treadmill). Con il reddito (gambe) si muovono i desideri (tappeti) e l’individuo (felicità) resta fermo o rallenta. Un’auto nuova soddisfa per un po’, poi nascono nuovi desideri. La corsa è con se stessi. La felicità è una partita che si gioca tutta dentro l’individuo: una corsa tra beni e desideri.
L’altra spiegazione è di Frank (1999, 2004). La gara qui è con, o meglio, contro gli altri. Un detto americano recita: “Stare al passo con i Jones”, e cioè con i vicini di casa. La felicità si riduce quando il benessere dei vicini aumenta più del nostro. Gli individui avvertono una competizione posizionale. Competono. Gareggiano.
Controllano il posto che occupano nella classifica sociale. Non si accontentano di andare avanti. Vogliono scalare nuove posizioni: stare al passo con i Jones! Conta il consumo relativo (comparato agli altri) e non quello assoluto (riferito a se stessi). La felicità è una gara che si gioca contro gli altri.

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